Delirio alla scala

– Che coscia! – commentò Sancho avvicinandosi a Teophìle che contemplava la locandina appesa nella bacheca del Teatro. “ROMEO E GIULIETTA DI SERGEJ SERGEEVIC PROKOFIEV” Recitava la scritta in pompamagna, ma Sancho sembrava sicuramente più attratto dall’apertura delle gambe della danzatrice in copertina. – Profano, profano, profano! Come puoi banalizzare sempre tutto! Il balletto.. – Lo ammonì Theophìle – Il balletto è un’arte nobilissima e antichissima e tu non sai far altro che .. – Le parole non gli vennero, ma non fu male, dal momento che Sancho era già andato al botteghino a comprare due posti in poltronissima per la serata. – Che hai fatto? – Domandò Teophìle incredulo e divertito. – Bella coscia – rispose – gran bella coscia. -.
La sera, a teatro, Sancho era carico di una curiosità oltremodo sospetta che preoccupava e allo stesso tempo irritava Theophìle. Per l’occasione aveva addirittura indossato un raffinatissimo doppiopetto e si muoveva elegantemente per i corridoi con la schiena ben eretta come un vero signore e cultore del balletto. Un’orribile pantomima che, tutto sommato, pensava Teophìle, gli avrebbe risparmiato qualche brutta figura. Si spensero le luci in sala, si aprì il sipario e iniziò la rappresentazione ma Theophìle non riusciva a godersi lo spettacolo, disturbato dalla sensazione che Sancho stesse tramando qualcosa. ‘Ma guardalo’ pensava ‘fa anche finta di apprezzare, prosaico e materialista com’è..’.
Dopo trenta minuti di balletto, infatti, l’impeccabile maschera da gentiluomo di Sancho mostrò i primi segni di cedimento. Prima un lungo e sofferto sbadiglio, poi una nervosa tremarella alle gambe e infine l’assunzione quasi spontanea e involontaria di una postura a metà tra il seduto, il disteso e l’accartocciato. Tutto ciò sotto l’occhio stizzito e professorale di Theophìle che, inconfessabilmente soddisfatto da questo suo cedimento, si rilassò e potè fruire finalmente a cuor leggero del balletto.
– Ehi.. Pss.. – Sussurò Sancho all’orecchio dell’amico. – Terzultima a destra. Un balconcino niente male, no? – Ma Theophìle non lo degnò di una risposta, anzi, scandalizzato lo fulminò con un’occhiataccia e gli intimò il silenzio. – Che c’è, adesso non ti piacciono più le donne? – Domandò incredulo. – Le donne.. -scimmiottò Theophìle con un ghigno di derisione senza staccare gli occhi dal palco – Ma queste non sono donne, diavolo di un caprone!
– Non sono donne? – Chiese ingenuamente Sancho, non sicuro di aver capito, ma terrorizzato dal sospetto che fossero uomini travestiti. – Ma certo che no! Non sono donne, ma solo le componenti della grazia universale del balletto. Sono i mezzi di cui l’arte si serve per esprimere e affermare sé stessa come entità astratta. E’ la catarsi!
– La.. La Catarsi?
– Ma si, stupido e ignorante, la catarsi, la concretizzazione di un’entità astratta nel qui ed ora! Una bellezza fatta di movimenti e linee e forme che si oggettiva sul palco attraverso le ballerine! L’inafferabile spirito dell’arte che si serve di queste danzatrici per mostrare il suo vero volto, attraverso le loro gambe, i loro piedi.. la loro bocca.. il loro seno.. Le loro cosce tornite.. I loro gluteri scolpiti.. – E, addentrandosi in queste minuziose descrizioni, Sancho notò che il compagno cambiava voce e gettava un occhio sinistro e spaventoso sul palco. Provò a interromperlo, a distrarlo, a toccarlo, ma Theophìle era come ipnotizzato o posseduto da qualche grottesco desiderio. – I loro occhi deliziosi, le loro braccia filiformi e le loro manine tenere e affusolate .. – continuava con voce sempre più alta e concitata protendendosi verso il palco. – I loro fianchi larghi, quelle loro belle tette! ..- disse alzando la voce un po’ troppo – il loro bel culo e la loro fica! LA FICA! – iniziò a urlare alzandosi in piedi – La fica! Si, la loro bella fica! – e come un gorilla selvaggio si gettò in avanti tra le urla dei presenti. Le ballerine, vedendolo arrivare sul palco con gli occhi spiritati e la bava alla bocca, iniziarono a correre in cerchio come un banco di tonni nel quale Teophìle si addentrò come uno squalo affamato. La platea era nel delirio più totale, nel mentre che la follìa erotica di Theophìle si conquistava la scena e dal palco volavano scarpette, reggiseni, codini, danzatrici e uomini della sicurezza. Coreografi, staff, truccatori e alcuni del pubblico tentavano di fermarlo, ma lui si divincolava con la forza bruta di cento uomini scaraventando in platea i malcapitati.
Sancho, intanto, che non si era mosso dalla sua poltroncina rideva a crepapelle e applaudiva alla furia dell’amico che lacerava le vesti delle danzatrici mettendone in mostra le vergogne, che agitava la testa mordendo un paio di mutandine bianche come un cane rabbioso mentre smembra il suo osso. Nella baraonda generale, una grassa signora inciampò su un reggiseno e travolse un vecchietto che iniziò a colpirla con un bastone da passeggio. Un buttafuori afferrò al volo una ballerina lanciata in aria da chi sa chi, ma entrambi caddero rovinosamente sulla grassa signora e sotto le bastonate del vecchietto. Intanto un ragazzino con una fionda si divertiva a colpire le danzatrici in fuga che cascavano a terra rigide come birilli mentre un altro, ugualmente mascalzone ma più furbo, aveva riempito il giubotto di collane, orologi e portafogli e fuggiva guardingo.
Mezzora più tardi, erano andati via tutti lasciando il teatro completamente vuoto e un silenzio ancora carico di terrore si aggirava tra le balconate. I sedili erano tutti rovesciati, le tende strappate, i fari del palco infranti per terra e ancora fumanti. Cappelli, giacche, scarpe e vestiti erano sparsi un po’ ovunque oltre che cellulari, borse e qualche bizzarra parrucca. Teophìle era tornato in sé e, inginocchiato al centro del palco si guardava attorno ansimante e scosso da chi sa quali pensieri. Sancho, ancora seduto al suo posto a fargli da pubblico, osò timidamente alzarsi e, con voce sommessa, stentorea e un po’ ironica, porre una domanda : – Ma allora è questa.. La catarsi?

Preoccupazioni di un padre

Preoccupazioni di un padre

– Qui allestiremo un mini-bar – proclamava entusiasta Tony Bino rivolgendosi ai due amici Scettico Uno e Scettico Due mentre con una mano indicava un mucchietto di pietre accatastate che richiamavano, con un po’ fantasia, la forma di un bancone da cocktail.
– Certo, ci sarà da lavorare un po’ su.. sulla “location”.. -. Farfugliò poi fuggevolmente nel tentativo di giustificarsi con Scettico Uno mentre, con indice e pollice, raddrizzava il naso di Scettico Due che andava stabilizzatosi sui 180° dopo aver compiuto due giri completi su sé stesso.
Il termine “Location”, furbescamente rubato al vocabolario anglosassone, è il modo con cui Bino riesce a colorare d’oro una catapecchia malferma e traballante nella quale neanche il più sconsiderato dei comuni del più sconsiderato dei paesi dello Stato più sconsiderato dell’URSS (Unione Repubbliche Sconsideratamente Sconsiderate) avrebbe concesso l’autorizzazione a farne un deposito di muffa, figuriamoci a darvi una festa. Eppure, attraverso sfavillanti, nonché fittizie terminologie come “Naif”, “Nature”, o, Diocenescampi, “Kitsch”, Bino costruiva nella sua testa, pietra su pietra, il sogno di una festa perfetta, con molta gente trendy seduta ai tavoli che si diverte, conversa amabilmente, sorseggia cocktail col mignolo sollevato e apprezza lo spirito naif della location, il suo raffinato gusto kitsch e l’accogliente sapore nature delle pareti ad imminente rischio di crollo.

D’un tratto un miagolìo straziante sopraggiunse da una siepe alle sue spalle. – Lilla! – Gridò Tony in preda al terrore congedandosi senza cerimonie dai due Scettici. – Lilla dove sei.. – Le parole gli si raggelarono in gola ed esplose in un singulto – Andate via! Via!! – intimò tremante scacciando due bestiacce che (forse ispirate da tutto quel kitsch) si affaccendavano in un raffinatissimo menàge a trois con Lilla, elegante gattina siamese, fresca di primo calore, inseparabile compagna di Bino. -E non fatevi più vedere!- sogghigna fiero ma, non appena si volta, è subito atterrito da una visione tremenda e incredibile. In fila per sei, col resto di due, quarantaquattro gattacci, rigorosamente maschi di ogni razza, ceto e nazione, marciavano compostamente come i cosacchi della corazzata Potëmkin, inarrestabili verso la meta: la dolce siamese Lilla che ancheggiava e ammiccava alla folta schiera di pretendenti sotto gli occhi increduli e terrorizzati del povero Bino.

Certo è che gli sarebbe venuto un infarto se non si fosse di colpo svegliato in un bagno di sudore ghiacciato, sul suo letto duro, nella sua misera casetta ma con Lilla raggomitolata al suo fianco che dormiva beatamente. Si asciugò il sudore col palmo di una mano e, poggiatosi su un fianco, si mise a contemplare la dolcezza di un felino che dorme su un foglio di carta spiegazzato.
Un foglio di carta? pensò scuotendo il capo Non ricordo di avercelo portato io. E lo estrasse lentamente da sotto la zampa facendo attenzione a non svegliare la piccola Lilla. Con grafia un po’ incerta, il foglio presentava una scritta bizzarra e inconcludente che Bino lesse a voce alta :

PONTE, CAVALLO E..

– E il Re? – fece lo sbaglio di domandarsi. – E il Re so’ io!- Gli rispose un gattone grigio entrando dalla finestra e scagliandosi verso Lilla. Con prontezza Bino lo strinse per la coda e, facendolo roteare per tre volte, lo scagliò come un giavellotto sull’abat-jour che andò in mille pezzi. -Bravo, mo ce n’ho altre sei! – Esclamò rialzandosi il felino. I due lottarono senza risparmio di colpi. Il gatto gli graffiò la faccia ricevendo di tutta risposta un calcione cieco ma ben assestato, al quale seguirono morsi incredibili e fortissimi cazzotti oltre che ingiurie da stadio e bestemmie atroci da far venire giù la Santa Sede vaticana. Fu nel bel mezzo dello scontro, mentre entrambi levitavano in aria in pose kung-fu degne della più riuscita regia Wachowski che il povero Bino si svegliò, ancora una volta di soprassalto, ancora una volta grondante sudore, ma questa volta aspettandosi di tutto. Guardò la sveglia. Le cinque del mattino. Si alzò per chiudere la finestra mentre fuori spuntavano timidi i raggi del primo sole accompagnati dal canto degli uccelli. Che nottata, pensò tra sé. Poi posò lo sguardo su Lilla che ancora dormiva, innocente, dolcissima. Cosa poteva saperne lei, che aveva dormito tutto il tempo. Anche Tony d’altro canto. Ma se lo sentiva, come un cavaliere con la sua principessa : stanotte l’aveva protetta e aveva giurato di continuare a farlo per sempre.

Morto di paura

Il maresciallo dei Carabinieri, dopo l’accaduto, iniziò a pronunciare il verbale, mentre l’appuntato, munito di carta e penna, scriveva: “In data odierna, il soggetto stava dirigendosi con fare sospetto in direzione della partigiano_258volante cui ero alla guida affiancato dal collega appuntato. Vista la situazione, ho ritenuto doveroso effettuare un controllo di routine, per accertarmi che l’individuo non rappresentasse un pericolo per il benessere della cittadinanza pubblica. Colto da uno strano e misterioso attacco di paura nei confronti della divisa che indossavo durante il fatto (Probabilmente un residuo di una mentalità criminale ben radicata nel soggetto), questi ha iniziato ad accelerare il passo, nonostante gli ordinassi di fermarsi e favorire le sue generalità e il documento. Preoccupato per la sua incolumità ho iniziato a correre verso di lui, che intanto procedeva veloce come un ladro. Al fine di sollecitarlo ad arrestarsi, ho estratto dal fodero la pistola d’ordinanza e ho sparato un colpo d’avvertimento in aria. E’ accaduto che, durante il tentativo di fuga, il soggetto in questione è inciampato inesorabilmente su una buccia di banana che si trovava al centro della strada, facendo inciampare anche me, che gli venivo appresso per svolgere il mio dovere di ufficiale. Cadendo, un colpo è malauguratamente partito dalla pistola d’ordinanza che tenevo ancora inevitabilmente in mano dopo lo sparo a vuoto di poc’anzi, colpendolo alla tempia. Nonostante le mie nocche ferite dalla caduta, ho tentato di aiutare il sospetto, che continuava a dimenarsi come un indemoniato, autolesionandosi e impedendomi di fermarlo. Il medico legale, accorso immediatamente due ore dopo l’accaduto, ha riscontrato lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso (inclusa una frattura della mascella), all’addome (inclusa un’emorragia alla vescica), al torace (incluse due fratture alla colonna vertebrale) e un colpo di pistola alla tempia. Il severo e accurato referto ha spazzato via ogni barlume di dubbio: Il soggetto è evidentemente morto di paura.”

Franz Reichelt

Reichelt hoppar från Eiffeltornet de 4 februari 1912. Tidningsklipp ur KABA-samlingen.
Reichelt hoppar från Eiffeltornet de 4 februari 1912. Tidningsklipp ur KABA-samlingen.

Un enorme vestito
fatto di alberi e gente
ricamato e cucito
da me

farà bella Parigi
che trattiene il respiro
e ha i migliori servigi
per me

Io artista da seta
tessitore d’idee
sarò oggi cometa
perché

voglio solo lasciarmi
sprofondare nell’aria
e affidarmi a quel poco
che c’è

e nel quattro Febbraio
dalla dama d’acciaio
au revoir les amis
Adieu!

Miseria

Scheletro

La pioggia batteva violentemente sul parabrezza mentre Eolo dispettoso, nascosto dietro il grigio di qualche nuvolone arrogante, soffiava forte sull’auto, che faticavo a controllare. Percorrevo con riguardo via Silenziosa, ovvero il tratto sconnesso che unisce a “Città del Lavoro” il comune limitrofo di “Città del Sonno” quando, sul margine destro dell’impervio stradotto, distinsi una sagoma che lo attraversava a piedi. -Ma dove vai, Diavolaccio!- sbraitai accostandolo : – Monta in macchina, prima che ti venga un accidente, o che la tormenta ti porti via con sé! -. Il poveraccio si accomodò e mi ringraziò con cortesia.
-Sciagurato di un incosciente! lo sai che ci saresti morto di certo là fuori?- Gli rimproverai scuotendo il capo.
-Lo so bene, ma, ahimé, non ho altri mezzi fuorché queste mie gracili gambe- bofonchiò l’uomo, indicando l’arto. Quando mi voltai per guardarlo, mi resi conto che questi era privo di carne e di pelle : uno scheletro, per farla breve, come quei modellini delle aule di anatomia.
Cercai di non farci caso e, conversando con quel mucchietto d’ossa, appurai che l’uomo era ben più povero e disgraziato di quel che credessi.
La pelle se l’era venduta ad un signorotto locale che ne aveva fatto un rivestimento per i suoi tamburi. La sua carne, diceva, era stata la seconda portata di una cena del re. (“Una delle più sfarzose” ebbe la cura di sottolineare). Un vecchio barbiere aveva comprato tutta la peluria del suo corpo per farne parrucche e gli occhi erano andati ad una signora Talpa particolarmente facoltosa, che ora andava in giro lamentando persino una leggera miopia. Il tutto generosamente offerto per cento denari (perché quando hai bisogno t’accontenti, diceva) coi quali campare un’altra manciata di disperati giorni. Arrivammo a destinazione dopo poco tempo. -Questa è casa mia..- disse, indicando un mucchietto di baracche allo sfacelo. -Grazie tante del passaggio!- e schizzò via.
Pensai che l’avrei potuto aiutare in qualche modo, con qualche moneta o un tetto più confortevole sulla testa. Non lo feci. Non provai nessuna pietà per lui, non lessi alcun dolore nei suoi.. Nelle sue cavità oculari, insomma.
Pensavo a tutto ciò mentre continuavo a fissarlo dallo specchio retrovisore: quei suoi movimenti robotici, la sua mandibola scoperta, le sue dita ossute.. Mi stavo giusto domandando cosa avrebbe fatto una volta rincasato, quando accadde il fattaccio: di colpo le gomme dell’auto stridettero, spezzando il silenzio di “Città del Sonno”. Dal mio specchio retrovisore vidi solo una macchina frenare bruscamente e una moltitudine di ossa spaiate librarsi in aria per poi disperdersi nella strada. La macchina andò via, e io (non me ne vogliate) feci lo stesso.
-Aaah..- sospirai – meglio la morte, la brusca e nuda morte, che una così miserabile e misera miseria!-

Ululato

lupo_alla_luna

Pas de justice,
sur le bord de le trépas
rêver d’un armistice
pour une guerre qui n’est pas

Abbaio alla luna sperando mi senta
o comunque
per il gusto di abbaiare.
Siate più che muscoli e pelle
o alla fine siate quel che vi pare.
Siate il vostro moralismo spiccio,
il vostro misero stare col giusto,
ma siate onesti, per D*o, perlomeno!
Voi siete causa del mio disgusto..

Orpelli, arrivismo
alcaloidi e filigrana
dipendenza, cinismo
pulp del fine settimana.
Facce da chiesa per la domenica
fatti di pietra col piombo grezzo
fatti agghiaccianti, cronaca isterica
carne tagliata, appesa col prezzo
Tendenze di moda,
una scia da seguire,
e antidepressivi
per non impazzire.
Sorrisi, canzoni
e vacanze in famiglia
nei visi espressioni
e speranze in bottiglia..

Ma non è in vendita questa mia brutta faccia.

Scarafaggi

Kafka 2

In cerca di ristoro, entrai in una bettola fatiscente con poca luce, poggiai i gomiti sul bancone e incominciai a guardarmi intorno, in attesa di essere servito. Tre scarafaggi, seduti a un tavolo poco distante, avevano fatto una matassa con lo sterco e la guardavano compiaciuti.
-Che bella palla!- disse uno fiero, tastandosi il panciotto squamato. -Proprio una bella palla!- replicò il secondo, e l’altro appresso – Sissignore, lo è!-.
Il barista arrivò e mi feci versare un calice del vino migliore (o almeno quello che per tale era spacciato). -Che bella palla!- continuavano i tre tizi marroni -Proprio una bella palla! Sissignore, lo è!-. Blaterarono il sermone per tre, o forse quattro volte, sicché decisi di alzarmi e andare da loro.
-Miei cari, perdonate l’intrusione, ma io proprio non capisco! Cosa trovate di bello in ciò che gli altri esseri fuggono inorriditi?- Si alzò il più grosso e, quasi seccato, mi si avvicinò : -Mio padre portava sterco, mio nonno portava sterco, e così i miei avi, fino ai grandi scarabei d’Egitto, portavano sterco. E’ la mia vita portare sterco, ecco perché lo faccio!-
Capii che si trattava di un idiota e alzai i tacchi. Tzz.. Scarafaggi! Cosa aspettarsi da esseri così semplici? Che continuassero pure a portare a zonzo la loro merda, io ho del lavoro da sbrigare, dei soldi da guadagnare, automobili da comprare, vestiti da mettere! Io ho un certo successo da raggiungere, così come mio padre mi ha insegnato a fare, e mio nonno ha insegnato a lui, e i miei avi hanno sempre fatto! Questa è la mia vita..
Appena fuori dalla bettola, specchiandomi in una pozza d’acqua, quasi mi sembrò di avere l’aspetto di una blatta. Così compresi il mio gravissimo errore di valutazione: il vino di quella bettola fatiscente non era poi tanto male..

Una bugia per dirti Addio

Miroslav YOTOV by Catherine La Rose (17)

Addio ultimo,
ennesimo, forse vero.
Addio urlato,
sussurrato, mai voluto.
Addio violento,
sereno, spaccacuore.
Addio e basta
mio disperato amore.

Giungerà il Settembre,
mio dolce ricordo,
ci bagnerà la pioggia
e il suo armonioso accordo.
E noi saremo foglia
senza rami a cui badare,
noi saremo voglia
impossibile da soddisfare.
Ma quando sarà il mese,
il mese più doloroso,
amore affrontalo
questo mondo insidioso;
amore vincilo, non sarai sola,
ricorda ogni profumo
e ogni parola.

Ricorda, ricordami
e ricordati di vivere.

Ricorda che speranza
è tardiva nel morire,
ricorda quella stanza
quella piazza, quel cortile.
Ricorda questa sera
e conserva il mio saluto,
il mio volto di cera
trepidante e muto.

Ricorda per sempre
e dimentica il passato,
perché saluta, bugiardo, e mente
il mio cuore innamorato.

Il Fumo

fumatore

-Perché fumi? – Chiese il giudice in toga pretesta – non conosci forse i mali di questo sciagurato vizio? Non ti hanno forse informato che non esiste beneficio alcuno in codesta pratica?-.
L’altro uomo sfumacchiava un po’ seccato e proseguendo a dargli retta.
-Perché fumi, dunque, diavol d’un tabagista, inquinando anche me che ho ragione di non farlo? – Incalzava rosso in volto, questa volta puntando il dito contro l’altro, che in silenzio lo ascoltava.
-Carcinoma polmonare, Bronchiolite respiratoria, Polmonite interstiziale e insufficienza circolatoria. Danni ai neuroni, tosse e bronchite, cancro ai polmoni e le dita ingiallite, i denti mar…-
Si interruppe, poi di colpo, il discorso dell’accusa e l’altro disse con un’aria un po’ delusa : – Il mio vizio serve solo a debellare un po’ di noia, che per me è assai più male di quei mali che mi hai detto.-
Nessuno rispose, e l’uomo portò alla bocca una sigaretta grande su per giù quanto un giudice con la toga. Poi fece un profondo tiro e si sentì già meglio.