Franz Reichelt

Reichelt hoppar från Eiffeltornet de 4 februari 1912. Tidningsklipp ur KABA-samlingen.
Reichelt hoppar från Eiffeltornet de 4 februari 1912. Tidningsklipp ur KABA-samlingen.

Un enorme vestito
fatto di alberi e gente
ricamato e cucito
da me

farà bella Parigi
che trattiene il respiro
e ha i migliori servigi
per me

Io artista da seta
tessitore d’idee
sarò oggi cometa
perché

voglio solo lasciarmi
sprofondare nell’aria
e affidarmi a quel poco
che c’è

e nel quattro Febbraio
dalla dama d’acciaio
au revoir les amis
Adieu!

Miseria

Scheletro

La pioggia batteva violentemente sul parabrezza mentre Eolo dispettoso, nascosto dietro il grigio di qualche nuvolone arrogante, soffiava forte sull’auto, che faticavo a controllare. Percorrevo con riguardo via Silenziosa, ovvero il tratto sconnesso che unisce a “Città del Lavoro” il comune limitrofo di “Città del Sonno” quando, sul margine destro dell’impervio stradotto, distinsi una sagoma che lo attraversava a piedi. -Ma dove vai, Diavolaccio!- sbraitai accostandolo : – Monta in macchina, prima che ti venga un accidente, o che la tormenta ti porti via con sé! -. Il poveraccio si accomodò e mi ringraziò con cortesia.
-Sciagurato di un incosciente! lo sai che ci saresti morto di certo là fuori?- Gli rimproverai scuotendo il capo.
-Lo so bene, ma, ahimé, non ho altri mezzi fuorché queste mie gracili gambe- bofonchiò l’uomo, indicando l’arto. Quando mi voltai per guardarlo, mi resi conto che questi era privo di carne e di pelle : uno scheletro, per farla breve, come quei modellini delle aule di anatomia.
Cercai di non farci caso e, conversando con quel mucchietto d’ossa, appurai che l’uomo era ben più povero e disgraziato di quel che credessi.
La pelle se l’era venduta ad un signorotto locale che ne aveva fatto un rivestimento per i suoi tamburi. La sua carne, diceva, era stata la seconda portata di una cena del re. (“Una delle più sfarzose” ebbe la cura di sottolineare). Un vecchio barbiere aveva comprato tutta la peluria del suo corpo per farne parrucche e gli occhi erano andati ad una signora Talpa particolarmente facoltosa, che ora andava in giro lamentando persino una leggera miopia. Il tutto generosamente offerto per cento denari (perché quando hai bisogno t’accontenti, diceva) coi quali campare un’altra manciata di disperati giorni. Arrivammo a destinazione dopo poco tempo. -Questa è casa mia..- disse, indicando un mucchietto di baracche allo sfacelo. -Grazie tante del passaggio!- e schizzò via.
Pensai che l’avrei potuto aiutare in qualche modo, con qualche moneta o un tetto più confortevole sulla testa. Non lo feci. Non provai nessuna pietà per lui, non lessi alcun dolore nei suoi.. Nelle sue cavità oculari, insomma.
Pensavo a tutto ciò mentre continuavo a fissarlo dallo specchio retrovisore: quei suoi movimenti robotici, la sua mandibola scoperta, le sue dita ossute.. Mi stavo giusto domandando cosa avrebbe fatto una volta rincasato, quando accadde il fattaccio: di colpo le gomme dell’auto stridettero, spezzando il silenzio di “Città del Sonno”. Dal mio specchio retrovisore vidi solo una macchina frenare bruscamente e una moltitudine di ossa spaiate librarsi in aria per poi disperdersi nella strada. La macchina andò via, e io (non me ne vogliate) feci lo stesso.
-Aaah..- sospirai – meglio la morte, la brusca e nuda morte, che una così miserabile e misera miseria!-

Ululato

lupo_alla_luna

Pas de justice,
sur le bord de le trépas
rêver d’un armistice
pour une guerre qui n’est pas

Abbaio alla luna sperando mi senta
o comunque
per il gusto di abbaiare.
Siate più che muscoli e pelle
o alla fine siate quel che vi pare.
Siate il vostro moralismo spiccio,
il vostro misero stare col giusto,
ma siate onesti, per D*o, perlomeno!
Voi siete causa del mio disgusto..

Orpelli, arrivismo
alcaloidi e filigrana
dipendenza, cinismo
pulp del fine settimana.
Facce da chiesa per la domenica
fatti di pietra col piombo grezzo
fatti agghiaccianti, cronaca isterica
carne tagliata, appesa col prezzo
Tendenze di moda,
una scia da seguire,
e antidepressivi
per non impazzire.
Sorrisi, canzoni
e vacanze in famiglia
nei visi espressioni
e speranze in bottiglia..

Ma non è in vendita questa mia brutta faccia.

Scarafaggi

Kafka 2

In cerca di ristoro, entrai in una bettola fatiscente con poca luce, poggiai i gomiti sul bancone e incominciai a guardarmi intorno, in attesa di essere servito. Tre scarafaggi, seduti a un tavolo poco distante, avevano fatto una matassa con lo sterco e la guardavano compiaciuti.
-Che bella palla!- disse uno fiero, tastandosi il panciotto squamato. -Proprio una bella palla!- replicò il secondo, e l’altro appresso – Sissignore, lo è!-.
Il barista arrivò e mi feci versare un calice del vino migliore (o almeno quello che per tale era spacciato). -Che bella palla!- continuavano i tre tizi marroni -Proprio una bella palla! Sissignore, lo è!-. Blaterarono il sermone per tre, o forse quattro volte, sicché decisi di alzarmi e andare da loro.
-Miei cari, perdonate l’intrusione, ma io proprio non capisco! Cosa trovate di bello in ciò che gli altri esseri fuggono inorriditi?- Si alzò il più grosso e, quasi seccato, mi si avvicinò : -Mio padre portava sterco, mio nonno portava sterco, e così i miei avi, fino ai grandi scarabei d’Egitto, portavano sterco. E’ la mia vita portare sterco, ecco perché lo faccio!-
Capii che si trattava di un idiota e alzai i tacchi. Tzz.. Scarafaggi! Cosa aspettarsi da esseri così semplici? Che continuassero pure a portare a zonzo la loro merda, io ho del lavoro da sbrigare, dei soldi da guadagnare, automobili da comprare, vestiti da mettere! Io ho un certo successo da raggiungere, così come mio padre mi ha insegnato a fare, e mio nonno ha insegnato a lui, e i miei avi hanno sempre fatto! Questa è la mia vita..
Appena fuori dalla bettola, specchiandomi in una pozza d’acqua, quasi mi sembrò di avere l’aspetto di una blatta. Così compresi il mio gravissimo errore di valutazione: il vino di quella bettola fatiscente non era poi tanto male..

Una bugia per dirti Addio

Miroslav YOTOV by Catherine La Rose (17)

Addio ultimo,
ennesimo, forse vero.
Addio urlato,
sussurrato, mai voluto.
Addio violento,
sereno, spaccacuore.
Addio e basta
mio disperato amore.

Giungerà il Settembre,
mio dolce ricordo,
ci bagnerà la pioggia
e il suo armonioso accordo.
E noi saremo foglia
senza rami a cui badare,
noi saremo voglia
impossibile da soddisfare.
Ma quando sarà il mese,
il mese più doloroso,
amore affrontalo
questo mondo insidioso;
amore vincilo, non sarai sola,
ricorda ogni profumo
e ogni parola.

Ricorda, ricordami
e ricordati di vivere.

Ricorda che speranza
è tardiva nel morire,
ricorda quella stanza
quella piazza, quel cortile.
Ricorda questa sera
e conserva il mio saluto,
il mio volto di cera
trepidante e muto.

Ricorda per sempre
e dimentica il passato,
perché saluta, bugiardo, e mente
il mio cuore innamorato.

Il Fumo

fumatore

-Perché fumi? – Chiese il giudice in toga pretesta – non conosci forse i mali di questo sciagurato vizio? Non ti hanno forse informato che non esiste beneficio alcuno in codesta pratica?-.
L’altro uomo sfumacchiava un po’ seccato e proseguendo a dargli retta.
-Perché fumi, dunque, diavol d’un tabagista, inquinando anche me che ho ragione di non farlo? – Incalzava rosso in volto, questa volta puntando il dito contro l’altro, che in silenzio lo ascoltava.
-Carcinoma polmonare, Bronchiolite respiratoria, Polmonite interstiziale e insufficienza circolatoria. Danni ai neuroni, tosse e bronchite, cancro ai polmoni e le dita ingiallite, i denti mar…-
Si interruppe, poi di colpo, il discorso dell’accusa e l’altro disse con un’aria un po’ delusa : – Il mio vizio serve solo a debellare un po’ di noia, che per me è assai più male di quei mali che mi hai detto.-
Nessuno rispose, e l’uomo portò alla bocca una sigaretta grande su per giù quanto un giudice con la toga. Poi fece un profondo tiro e si sentì già meglio.

(S)correre del Tempo; Saturno che divora i suoi figli

Guardare le labbra e non volerle ascoltare,2809_v1
cadere negli occhi e non farsi vedere,
biascicare parole e sputare silenzi,
stringersi forte a chi c’era e non c’è.

Carezzare dipinti, soffocare ragioni,
detestare quel buio ed aspettar le stagioni,
coronare le notti, guardare al domani,
annusarne i capelli e toccarne le mani.

Odore di buio, di notte, di morte,
odore di ieri, di storia, di treni,
fiori appassiti, chitarre e canzoni,
amori svaniti e svanite emozioni.

Elenchi di cose, da fare e già fatte,
mazzi di rose, camicie e cravatte,
soffi di vita, d’estate e tristezza,
valigie, giornali e passeggera amarezza.

Pugni alle porte e poi lacrime amare,
risate sincere e il rumore del mare.
Ma il tempo ci insegna che dopotutto
si è soli.
Insieme.
E si è soli del tutto.

Il canto della cicala

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-Che odioso animale- pensava Arturo, rigirandosi nel letto – Una bestiaccia inutile, finale solo all’altrui fastidio!-
Era ormai da alcuni giorni che un’invadente cicala aveva fatto dimora di una fessura della parete. Di giorno, zitta zitta, non procurava fastidi, così che Arturo la pensasse morta. Di notte invece, l’infame bestiaccia intonava un gracchiante e stridulo frinìo. L’insetto indigesto pareva poi essere a conoscenza che ben altro sarebbe servito perché Arturo s’alzasse da quel letto, essendosi disteso.
-Eh no..- Diceva – ho faticato per codesto riposo, sicché lo merito tutto, e non sarai certo tu a levarmelo, mia stridente inquilina!- e poggiava la testa sul morbido cuscino.
..Cri cri, Cri cri, Cri cri, Cri cri..
Incalzava intanto, cadenzata e regolare, la cicala, così assillante e viscerale, che i pensieri stessi andavano concepiti a voce alta perché si potesse sentirli. E Cri cri, Cri cri, Cri cri fino a indolenzire le orecchie tanto era il fastidio che procurava.
Ogni porta e finestra era ben serrata, il cuscino cinto attorno al capo, il pensiero forzatamente rivolto verso altri lidi, ma nulla impediva a quelle frequenze di penetrare nel teschio di Arturo. Penetrare così a fondo che anche se queste avessero taciuto, egli avrebbe continuato a sentirle.
Non saprei dire se fu il sonno, un germe di follia o se Arturo avesse effettivamente ragione quando, a notte inoltrata, iniziò a scandire dei significati nella monotonia di quel suono.
-Ma certo – pensava -Sicuro son desto, e matto non lo sono mai stato.. – e, nel buio della camera aguzzò l’orecchio per sentire meglio. -D’altro canto, perché insistere in questa maniera se non se ne ha motivo-.
…Vien qui, Vien qui, Vien qui, Vien qui…
Ora finalmente era chiaro il motivo di quella caparbietà. L’insetto amico aveva qualcosa da mostrare ad Arturo, e questi ne era così convinto che balzò giù dal letto, scordò la fatica e iniziò a correre come un forsennato nel buio della casa.
Vien qui, Vien qui, Vien qui gracchiava sempre più forte a mano mano che le si avvicinava -Arrivo Cicalina mia!- gridava Arturo.
Fu un instante di gelida fatalità, quello in cui la folle corsa, bieca e disperata, portò il poveruomo a tuffarsi dal balcone che dava sulla strada. Non un urlo, non un gemito.. Solo un tonfo sordo. Poff. E poi nulla. La casa buia, la stanza vuota e nel silenzio continuò : Cri cri, Cri cri, Cri cri, Cri cri..

 

Senilità e catarsi

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Cammino di spalle
guardando al trascorso
con le gambe stanche
e il passo esperto.
Aspettando
la fine.

Vedo i giovani correre sul prato della vita,
come sfumature gialle di un tramonto
che un tempo sfolgorava alle mie luci.

Un ruga profonda
nasconde un bambino
che forte di ignoranza
respirava i profumi
nuovi.
Greve, dolce, la vita.

Vecchio, appellativo strano
che ancora non so
s’è lode o spasimo,
s’è bene o male.
Ma la mia ombra
è la stessa.

Io, anzi tempo
catapultato
nel meraviglioso gioco,
ancora non capisco,
prossimo a finire,
il suo regolamento.

Dapprima seme,
poi germoglio,
e fiore, straordinario
prodigioso fiore,
sono albero maestoso
dalle fronde stanche.

Ora, ch’è a due passi,
Empireo si fa vero
e profumato
di una fragranza
che sa di pace
meritata.

Saluto il mondo
ed esplodo
dal corpo mio
con la cura
di non fare
rumore.

Terra, dannazione! Terra!
Mi sconvolge lasciarti,
che mi sei stata madre,
sposa e sorella.
Mi sconvolge.

Allora sorridimi,
ora che i miei occhi
brillano e donano cristalli.
Accarezzami mentre
sorridendo
m’addormento.

I BAMBINI AMANO I BISCOTTI

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C’era una vecchia, in un posto lontano, dagli occhi gentili e i capelli di fieno. Se ne stava seduta nel parco, sempre sola, con le sue guance rosse.

La vecchia signora indossava un cappello, alto, morbido e colorato, con un ulivo al posto della piuma.

-Che strano cappello- Pensava la gente passando di là- Sicuramente la vecchia è un po’ matta, ma che bei capelli e che morbide guance che ha..-

Un giorno un bambino (che era proprio un bambino) si avvicinò alla dolce signora e preso dalla curiosità, con una manata le spogliò il capo.

Ahia! Che brutta sorpresa, celava la vecchia nel buffo cappello : un bimbo dormiente con la milza appesa, il cuore strappato e con mezzo cervello. Inorridì l’infante e quasi stava per urlare, ma la vecchia lo fermò un attimo prima : -Potresti restare a frignare da matto e farti sentire da tutta la gente, o assaggiare i miei buoni biscotti e fare un po’ finta di niente..-

..Tutti sanno che i bambini amano i biscotti.