(S)correre del Tempo; Saturno che divora i suoi figli

Guardare le labbra e non volerle ascoltare,2809_v1
cadere negli occhi e non farsi vedere,
biascicare parole e sputare silenzi,
stringersi forte a chi c’era e non c’è.

Carezzare dipinti, soffocare ragioni,
detestare quel buio ed aspettar le stagioni,
coronare le notti, guardare al domani,
annusarne i capelli e toccarne le mani.

Odore di buio, di notte, di morte,
odore di ieri, di storia, di treni,
fiori appassiti, chitarre e canzoni,
amori svaniti e svanite emozioni.

Elenchi di cose, da fare e già fatte,
mazzi di rose, camicie e cravatte,
soffi di vita, d’estate e tristezza,
valigie, giornali e passeggera amarezza.

Pugni alle porte e poi lacrime amare,
risate sincere e il rumore del mare.
Ma il tempo ci insegna che dopotutto
si è soli.
Insieme.
E si è soli del tutto.

Il canto della cicala

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-Che odioso animale- pensava Arturo, rigirandosi nel letto – Una bestiaccia inutile, finale solo all’altrui fastidio!-
Era ormai da alcuni giorni che un’invadente cicala aveva fatto dimora di una fessura della parete. Di giorno, zitta zitta, non procurava fastidi, così che Arturo la pensasse morta. Di notte invece, l’infame bestiaccia intonava un gracchiante e stridulo frinìo. L’insetto indigesto pareva poi essere a conoscenza che ben altro sarebbe servito perché Arturo s’alzasse da quel letto, essendosi disteso.
-Eh no..- Diceva – ho faticato per codesto riposo, sicché lo merito tutto, e non sarai certo tu a levarmelo, mia stridente inquilina!- e poggiava la testa sul morbido cuscino.
..Cri cri, Cri cri, Cri cri, Cri cri..
Incalzava intanto, cadenzata e regolare, la cicala, così assillante e viscerale, che i pensieri stessi andavano concepiti a voce alta perché si potesse sentirli. E Cri cri, Cri cri, Cri cri fino a indolenzire le orecchie tanto era il fastidio che procurava.
Ogni porta e finestra era ben serrata, il cuscino cinto attorno al capo, il pensiero forzatamente rivolto verso altri lidi, ma nulla impediva a quelle frequenze di penetrare nel teschio di Arturo. Penetrare così a fondo che anche se queste avessero taciuto, egli avrebbe continuato a sentirle.
Non saprei dire se fu il sonno, un germe di follia o se Arturo avesse effettivamente ragione quando, a notte inoltrata, iniziò a scandire dei significati nella monotonia di quel suono.
-Ma certo – pensava -Sicuro son desto, e matto non lo sono mai stato.. – e, nel buio della camera aguzzò l’orecchio per sentire meglio. -D’altro canto, perché insistere in questa maniera se non se ne ha motivo-.
…Vien qui, Vien qui, Vien qui, Vien qui…
Ora finalmente era chiaro il motivo di quella caparbietà. L’insetto amico aveva qualcosa da mostrare ad Arturo, e questi ne era così convinto che balzò giù dal letto, scordò la fatica e iniziò a correre come un forsennato nel buio della casa.
Vien qui, Vien qui, Vien qui gracchiava sempre più forte a mano mano che le si avvicinava -Arrivo Cicalina mia!- gridava Arturo.
Fu un instante di gelida fatalità, quello in cui la folle corsa, bieca e disperata, portò il poveruomo a tuffarsi dal balcone che dava sulla strada. Non un urlo, non un gemito.. Solo un tonfo sordo. Poff. E poi nulla. La casa buia, la stanza vuota e nel silenzio continuò : Cri cri, Cri cri, Cri cri, Cri cri..

 

Senilità e catarsi

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Cammino di spalle
guardando al trascorso
con le gambe stanche
e il passo esperto.
Aspettando
la fine.

Vedo i giovani correre sul prato della vita,
come sfumature gialle di un tramonto
che un tempo sfolgorava alle mie luci.

Un ruga profonda
nasconde un bambino
che forte di ignoranza
respirava i profumi
nuovi.
Greve, dolce, la vita.

Vecchio, appellativo strano
che ancora non so
s’è lode o spasimo,
s’è bene o male.
Ma la mia ombra
è la stessa.

Io, anzi tempo
catapultato
nel meraviglioso gioco,
ancora non capisco,
prossimo a finire,
il suo regolamento.

Dapprima seme,
poi germoglio,
e fiore, straordinario
prodigioso fiore,
sono albero maestoso
dalle fronde stanche.

Ora, ch’è a due passi,
Empireo si fa vero
e profumato
di una fragranza
che sa di pace
meritata.

Saluto il mondo
ed esplodo
dal corpo mio
con la cura
di non fare
rumore.

Terra, dannazione! Terra!
Mi sconvolge lasciarti,
che mi sei stata madre,
sposa e sorella.
Mi sconvolge.

Allora sorridimi,
ora che i miei occhi
brillano e donano cristalli.
Accarezzami mentre
sorridendo
m’addormento.

I BAMBINI AMANO I BISCOTTI

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C’era una vecchia, in un posto lontano, dagli occhi gentili e i capelli di fieno. Se ne stava seduta nel parco, sempre sola, con le sue guance rosse.

La vecchia signora indossava un cappello, alto, morbido e colorato, con un ulivo al posto della piuma.

-Che strano cappello- Pensava la gente passando di là- Sicuramente la vecchia è un po’ matta, ma che bei capelli e che morbide guance che ha..-

Un giorno un bambino (che era proprio un bambino) si avvicinò alla dolce signora e preso dalla curiosità, con una manata le spogliò il capo.

Ahia! Che brutta sorpresa, celava la vecchia nel buffo cappello : un bimbo dormiente con la milza appesa, il cuore strappato e con mezzo cervello. Inorridì l’infante e quasi stava per urlare, ma la vecchia lo fermò un attimo prima : -Potresti restare a frignare da matto e farti sentire da tutta la gente, o assaggiare i miei buoni biscotti e fare un po’ finta di niente..-

..Tutti sanno che i bambini amano i biscotti.

9 Maggio ’78

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Forte il bagliore lumeggiava
la calda notte di Maggio
e un rumore assordante
travolse la vallata.

Straziante l’urlo acuto
di chi si scelse la sorte
fece fuggire le granivore quaglie
e la vallata ammutolì.

Che morte incompiuta
quando si è già fatto troppo
e troppe cose s’han da fare,
quand’è ancora giorno.

Il vento soffiò forte
come di rado usava fare
e l’urlo proseguì in silenzio
e ridestò la vallata.

Ancora oggi, tornando lì,
tra le pietre ed il mare
dell’assolata Sicilia,
lo si può ascoltare,

l’urlo di chi con decisione
scelse di morire
tra le braccia della libertà
e vivere per sempre.